L’ART. 768 bis c.c. definisce il patto di famiglia come il “contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote ad uno o più discendenti”.
Il patto di famiglia è un contratto attraverso il quale l’imprenditore (o il titolare di partecipazioni societarie), trasferisce interamente o in parte, la propria azienda (o le proprie quote) ad uno o più discendenti.
L’introduzione nell’ordinamento giuridico di un istituto finalizzato al trapasso generazionale della ricchezza risponde all’esigenza di garantire la continuità nella gestione dell’impresa familiare.
Da un punto di vista statistico, infatti, nella prassi è emerso che la scomparsa dell’imprenditore o del socio di riferimento porta con sé problemi che possono portare alla compromissione del futuro dell’azienda, infatti, non sempre tutti i discendenti hanno la volontà e le capacità per portare avanti l’attività economica con conseguente scomparsa dell’azienda dal mercato.
Al fine di evitare la concretizzazione di questo rischio il legislatore ha predisposto uno strumento (il c.d. patto di famiglia) che sia idoneo a garantire una continuità senza che si determini un pregiudizio per i discendenti non assegnatari.
I SOGGETTI
I soggetti coinvolti nella conclusione del patto di famiglia sono 3:
- L’imprenditore o il titolare di partecipazioni societarie
- I discendenti
- Coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore.
La previsione della necessità di partecipazione all’atto di tutti i legittimari deriva dalla ragione che il patto di famiglia è strutturato come una sorta di “anticipo” della distribuzione del patrimonio dell’imprenditore rispetto al momento dell’apertura della successione.
Da un punto di vista pratico, l’imprenditore (o il titolare di partecipazioni) trasferisce gratuitamente in tutto o in parte l’azienda (o le partecipazioni societari) ad uno o più discendenti (definiti c.d. assegnatari) sui quali sorge un obbligo di liquidazione, a favore dei non legittimari, di una somma corrispondente al valore della loro quota ereditaria.
Al fine di evitare che il patto di famiglia venga utilizzato solo nei casi in cui i discendenti assegnatari abbiano le risorse economiche necessarie per liquidare ai non assegnatari la quota di loro spettanza, il legislatore ha previsto che questi ultimi possano essere compensati attraverso due differenti modalità:
- All’interno del patto di famiglia l’imprenditore può direttamente assegnare ai legittimari non assegnatari altri beni;
- L’imprenditore potrà stipulare due distinti contratti: con il primo patto di famiglia potrà assegnare l’azienda (o le partecipazioni) ai discendenti assegnatari; e con un secondo contratto, collegato al primo e a cui dovranno partecipare gli stessi soggetti, potrà assegnare altri beni ai non assegnatari dell’azienda (o delle partecipazioni).
In questo modo, l’obbligazione gravante sugli assegnatari ed avente ad oggetto l’obbligo di liquidare i non assegnatari dell’azienda con un valore pari alla loro quota ereditaria si estinguerà automaticamente con la conseguenza che 1) ove i discendenti assegnatari abbiano già provveduto al pagamento avranno diritto al rimborso 2) ove non vi abbiano provveduti, l’obbligo di pagare si estinguerà.
Fondamentale è inoltre ricordare che quanto ricevuto dai contraenti (partecipanti assegnatari e partecipanti non assegnatari che hanno avuto la liquidazione o a cui sono stati assegnati altri beni) non è soggetto a collazione o ad azione di riduzione.
IL RUOLO DEI DISCENDENTI NON ASSEGNATARI NELLA STIPULA DEL PATTO DI FAMIGLIA
Il ruolo dei discendenti non assegnatari nella stipula del patto di famiglia riflette i dubbi in ordine alla natura bilaterale o trilaterale del contratto.
Secondo un primo orientamento il patto di famiglia sarebbe un contratto bilaterale in cui non è necessario il consenso dei partecipanti non assegnatari. La loro partecipazione, in quest’ottica sarebbe funzionale solo ad ottenere un assenso idoneo a rendere operativa la disposizione che esclude la collazione e la riduzione. Secondo questo orientamento, dunque, nei confronti dei legittimari non partecipanti, il patto di famiglia costituisce ex lege un diritto di credito, dalla cui riscossione o rinunzia, anche successiva al patto di famiglia, dipenderà l’ulteriore e diverso effetto ex lege dell’esenzione da riduzione e collazione.
Secondo un altro orientamento, invece, i legittimari non assegnatari sarebbero parti necessarie, sicché, nell’ipotesi in cui non partecipino, il patto di famiglia sarebbe nullo.
I VIZI DEL CONSENSO
Il patto di famiglia può essere impugnato dai partecipanti ai sensi degli articoli 1427 c.c. e seguenti (errore, violenza e dolo) entro 1 anno.